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venerdì 20 giugno 2014

L'AUMENTO DELLE TASSE SUI FONDI PENSIONI E' LEGGE!!! AZZOPPATA LA PREVIDENZA COMPLEMENTARE.






La Camera dei Deputati ha definitivamente approvato il cosiddetto decreto Irpef, meglio conosciuto come il decreto del bonus degli 80 euro.
Concesso per il 2014 per chi ha un reddito inferiore ai 24mila euro lordi, con la previsione di  farlo diventare  permanente nel 2015. Il bonus si riduce gradatamente tra i 24mila e i 26mila euro fino ad azzerarsi. E’ stata inserita una norma che rinvia alla legge di Stabilità di quest’anno l’estensione del bonus  ai soggetti esclusi, i cosiddetti incapienti, le  famiglie monoreddito e quelle con due o più figli a carico ed anche ai pensionati.
Per realizzare il miracolo degli 80 euro, il decreto appena convertito raschia nel fondo del barile aumentando una tassa qui ed un’imposta là per far quadrare il cerchio.
Da questa scure non è uscita indenne neppure la previdenza complementare.
Al di là degli auspici, delle dichiarazioni e delle chiacchiere  fatte nei simposi, seminari,  convegni e tavole rotonde, l’unico fatto concreto realizzato dall’attuale governo in tema di previdenza complementare, è l’aumento della tassazione sui rendimenti finanziari dei fondi pensione.
Chi si aspettava un suo rilancio attraverso  una massiccia campagna informativa per la diffusione della conoscenza,  oppure qualche misura, anche parziale, di  equiparazione delle regole fra lavoratori pubblici e quelli privati in merito alla tassazione, rimane quanto meno interdetto, perché dal cilindro invece di un simpatico coniglio invece di un incentivo, è uscito un disincentivo,  quello classico, un aumento della  tassazione.

Aumento, è stato  spiegato, reso necessario per   permettere di dare un credito d’imposta per quest’anno alle casse di previdenza private o privatizzate, per attutire l’effetto dell’aumento dell’aliquota dal 20 al 26% sulle , in attesa di un armonizzazione nel sistema di tassazione dei redditi di natura finanziaria degli enti previdenziali.
Una misura transitoria dunque.
Ma lo stesso testo non è chiaro del tutto chiaro, almeno ad un lettore superficiale e frettoloso come me ( comma 6 ter art 4 della legge che sarà poi pubblicata sulla GU)  scritto come al solito per non far comprendere ai  cittadini normali cosa effettivamente si ha in mente di fare.
Il testo votato recita:”  Per l’anno 2014 l’aliquota prevista dall’art 17, c 1 Dlgs 252/05, è elevata all’11.50%. Una quota delle maggiori entrate di cui al presente comma, pari a 4 milioni di euro per l’anno 2015, confluisce nel Fondo per interventi strutturali di politica economica.”
Sembrerebbe  proprio una norma temporanea. Un balzello da pagare solo per quest’anno.  Continuando  a leggere,  si apprende comunque che dalle somme in più ricavate dall’aumento dell’aliquota,  nel 2015 almeno 4 milioni di euro vanno a finire in un fondo speciale.
Allora almeno ad un lettore incompetente di esegesi legislativa come me, viene la domanda: ma l’aumento è solo per il 2014 o per sempre. E se 4 milioni di euro vanno nel Fondo per gli interventi strutturali dell’economia, il resto dove va?
Il dilemma in cui i governi si trovano davanti è essenzialmente questo: E’ meglio usare incentivi fiscali per aumentare le adesioni alla previdenza complementare oppure  è meglio diminuire questi incentivi e riversare tutto o in parte di quello che si risparmia nell’aumentare le pensioni pubbliche?
Solo che nel caso specifico della legge appena approvata,  i maggiori introiti non vanno a beneficio di tutto il sistema pensionistico, bensì solo  a beneficio degli iscritti delle Casse pensioni privatizzate, quelle dei giornalisti, dei notai eccetera, tanto per intenderci, non tenendo in nessun conto del progetto Ocse 2014/2015 in favore di maggiore incentivi fiscali per aumentare il risparmio verso la pensione integrativa. 
Della pensione pubblica ormai è inutile parlare. Essa per come è attualmente strutturata,  è definitivamente incapace di assicurare una pensione decente a chi ha  comunque la fortuna di cominciare a lavorare, nonostante i provvedimenti della Fornero prima e di Poletti dopo. I propositi di riforma della “riforma delle pensioni”, lodevoli e meritevoli di maggiore attenzione, sono destinati, al momento, ad infrangersi contro la crisi economica e la rigidità delle politiche di bilancio. L’alternativa sta sempre più nella pensione integrativa che ognuno è in grado di farsi da solo.
Ma al di là di questo,  è una decisione di una gravità estrema. Di fatto azzoppa la gracile previdenza complementare italiana. Essa del resto già  aveva dimostrato di avere i suoi piedi d’argilla nel pubblico impiego.
Si tratta di una decisione grave per due ordini di fondamentali motivi.
Il primo perché sottrae risorse che in prima battuta vanno sui mercati finanziari, risorse  che contribuiscono a rilanciare l’economia reale che, com’è noto, si rilancia con gli investimenti e non con le tasse ed i cui rendimenti vanno ad aumentare il  montante  dei singoli lavoratori.
Il secondo, molto più grave, perché si rompe quel rapporto fiduciario fra cittadini ed istituzioni quando si stabiliscono dei patti.
Se le regole sono in continuo cambiamento in attuazione del vecchio principio del patto leonino, l’attuale  diffidenza verso lo strumento previdenziale,  si può facilmente  trasformare  in un netto rifiuto
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