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mercoledì 2 luglio 2014

SALENTO POVERO, DISOCCUPATO E VULNERABILE ALLA CRIMINALITA'. QUESTA LA FOTOGRAFIA IMPIETOSA DELLA CAMERA DI COMMERCIO DI LECCE.

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LECCE – Un Salento povero e ancora vulnerabile. Il 2013 è stato un anno con molte ombre per il territorio e ora si spera di riuscire, almeno, a risalire la china. E’ la fotografia, poco incoraggiante, emersa dalla Giornata dell’Economia, il report elaborato dalla Camera di Commercio e presentato ieri dal presidente Alfredo Prete.

Nel 2013 il valore aggiunto a prezzi correnti delle imprese salentine è diminuito dell’1,1%, poco meglio rispetto all’andamento pugliese (-1,4%) ma peggio della tendenza italiana (-0,4%). Nel triennio 2009-2012 tutti i macrosettori hanno visto diminuire la loro capacità di produrre ricchezza e la provincia ha visto ridurre la propria ricchezza a prezzi correnti del 3,5%, a fronte di una situazione stabile in Puglia e di crescita nazionale (1,9%). Nonostante tutto la provincia di Lecce nel 2012 è la seconda in Puglia (dopo Bari) per valore aggiunto a prezzi correnti: 11 miliardi e 425 milioni di euro. Il Nord (dalla Lombardia al Triveneto) e la zona dell’Appennino Tosco-emiliano sono le aree capaci di cogliere prima di altre i segnali di potenziale rilancio. Sono le cosiddette zone “a maggiore sensibilità al ciclo dell’economia”. In tale ambito la provincia di Lecce accusa un ritardo marcato: con un indice fermo a 43,5 registra il peggior dato regionale e si colloca al 92esimo posto su 110. In generale il territorio non presenta una buona reattività al ciclo economico nazionale, elemento, questo, che rischia di ritardare le già modeste occasioni di sviluppo osservate in ambito nazionale. Come se non bastasse, la provincia risulta nella parte più alta della classifica per vulnerabilità alla criminalità organizzata di tipo economico: al 21esimo posto nella graduatoria nazionale e al 2° in Puglia. Fatto 100 l’indice nazionale,quello leccese arriva a 130,7.
Il valore aggiunto pro-capite si ferma a 14.113,10 euro a fronte di una media nazionale che raggiunge i 23.333,40euro. In Puglia il Salento è quarto, seguito solo da Foggia e Bat. Il valore aggiunto pro-capite ha un trend in costante diminuzione fin dal 2008. Lecce si colloca nel 2013 al 95° posto.Quanto al reddito pro capite annuo, i salentini mediamente percepiscono 12.763 euro (penultimi in Puglia). La media regionale supera i 13.000 euro; lontanissimo il valore nazionale (17.307,20 euro). Nel biennio 2011-2012 il patrimonio delle famiglie leccesi ha registrato una contrazione del 3,3%, più alta di quella rilevata in Puglia (-2,4%) e a livello nazionale (-0,8%). Cattive notizie anche dal fronte delle imprese. Il tessuto imprenditoriale della provincia di Lecce conta alla fine del 2013 72.251 imprese, di cui 63.387 attive (pari all’87,7%). Il saldo tra nuove imprese iscritte (5.430) e imprese cessate (6.109) risulta negativo (-679) rispetto al 2012.
La “torta” dei settori assegna al commercio la “fetta” più grande (33,8%). Nell’ultimo anno a Lecce è incrementato il numero di imprese impegnato nel settore delle utilities (energia elettrica, gas e vapore) con un tasso di crescita al 32,5%, della sanità e assistenza sociale (+7,2%). Agricoltura, silvicoltura e pesca hanno complessivamente perso il 5,2% del proprio stock imprenditoriale. Particolari le dinamiche interne al settore manifatturiero. In Italia il comparto ha subìto un ridimensionamento dovuto alla crisi economica con un calo del 2,1%: a Lecce perde il 3,5%. Nel Salento il settore è composto nel 2013 da 6.109 imprese, concentrate maggiormente in imprese che lavorano prodotti in metallo (1.076), industrie alimentari (934), imprese di abbigliamento (747), imprese che lavorano prodotti in legno (708). Tutte le variazioni registrate lo scorso anno sono state però negative: -3,2% per i prodotti in metallo, -0,8% per le industrie alimentari, -5,8% per l’abbigliamento e -3,7% per i prodotti in legno.
Altro fronte caldo quello dell’occupazione. I più colpiti dal deterioramento del mercato del lavoro sono i giovani che trovano ingenti barriere in ingresso. La pressione dei giovani sul mercato del lavoro si sta traducendo in una crescente disponibilità ad accettare lavori meno qualificati, con una crescita del fenomeno dell’overeducation, spesso condizioni sfavorevoli con un aumento del sottoinquadramento. I cosiddetti Neet (giovani sospesi nel limbo del “non studio” e del “non lavoro”) nel 2013 hanno superato in Italia i 2,4 milioni: 1 su 4 nella fascia di età 15-29 anni. Nel quinquennio 2009-13 a Lecce la forza lavoro subisce una leggera flessione (mentre in Puglia cresce dell’1,8% e in Italia del 2,3%). Nello stesso periodo il numero degli occupati ha registrato un calo consistente (-7,3%), maggiore di quello subìto a livello regionale (-6,6%) e ancor più di quello nazionale (-2,6%). Il numero dei disoccupati nella provincia leccese è aumentato del 36,2%, un dato preoccupante ma meno di quanto rilevato nel contesto regionale (+59,6%) e nazionale (+60,0%). Se ne ricava un tasso di disoccupazione provinciale al 22,1% (peggiore in Puglia, in cui la media è del 19,8%; lontano dalla media nazionale del 12,2%).Lecce è al 9° posto per peggior tasso di disoccupazione nel 2013, prima tra le province pugliesi. Bisogna scavare un po’ per scoprire un dato positivo: il numero di occupati con oltre 30 ore lavorate nella provincia salentina corrisponde al 68,1% (in Italia al 67%). Impietosa l’analisi di genere: il tasso di occupazione risulta al 54,3% per gli uomini di età compresa tra i 15 ed i 64 anni) e solo al 30,4% per le donne; il tasso di disoccupazione è al 18,0% per gli uomini, al 28,2% per le donne. In particolare, per la fascia giovanile di età (15-24 anni) il tasso di disoccupazione è del 44,0% per i maschi e del 55,9% per le femmine.
Le dinamiche del commercio estero italiano nel corso dell’ultimo anno hanno mostrato ancora segnali di contrazione. Tendenza che si rispecchia anche nell’andamento regionale. L’export è crollato scendendo a 409 milioni 736mila euro: meno 8% in un anno, con una perdita secca di quasi 36 milioni di euro. Giù anche le importazioni del Salento, calate del 5,7% fino a toccare 246 milioni 364mila euro. Il saldo della bilancia commerciale risulta positivo: 163 milioni 372 mila euro. Era stato positivo anche nel 2012, ma in un anno il saldo è calato dell’11,4%. Saldo che invece in Puglia è migliorato del 57,3%: Lecce è l’unica provincia pugliese ad aver registrato un peggioramento. Anche se ad onor del vero i dati del primo trimestre 2014 evidenziano una timida ripresa dell’export salentino che registra  un +3,7%, bisognerà capire se il trend positivo si confermerà nei  prossimi trimestri.
Il dato sulle sofferenze bancarie indica quanto è rischioso concedere credito in un determinato territorio. In Italia le sofferenze bancarie risultano in forte aumento (+14,8%): complessivamente 139 miliardi di euro. In provincia di Lecce l’aumento è più contenuto rispetto a quanto registrato un anno fa: le sofferenze nel 2012 crescevano del 14,7%; nel 2013 “solo” del 4,8%. È il dato più contenuto tra le province pugliesi. In termini assoluti le sofferenze bancarie in provincia di Lecce hanno raggiunto quota 787 milioni di euro, cioè il 9,3% degli impieghi. I tassi effettivi di interesse sui finanziamenti per cassa sono più alti di quelli riscontrati a livello nazionale. I depositi bancari anche nel 2013 hanno continuato a crescere, tanto in Italia (+2,0%) quanto in provincia di Lecce (+2,7%). Nel Salento hanno raggiunto quota 10 miliardi 245 milioni di euro: l’88,6% appartiene alle famiglie (percentuale più alta in Puglia). Sul fronte degli impieghi (i finanziamenti concessi dalle banche) si registra un calo del 3,3%, comunque leggermente inferiore rispetto a quello registrato a livello nazionale (-3,8%).
Secondo un’indagine telefonica effettuata su un panel di 200 imprese attive sul territorio provinciale il fatturato presenta una situazione del tutto simile a quella rilevata per il 2012: in calo per il 71% delle imprese intervistate; in lieve aumento le imprese con fatturato stabile (24% nel 2013 e 23% nel 2012) e in lieve diminuzione le imprese con fatturato in crescita (5% a fronte del 6% del 2012).La diminuzione del fatturato è trasversale ai diversi settori, ma più sostenuta nel commercio e nelle costruzioni (78% dei casi in entrambi i settori: erano l’82% per il commercio e il 68% per le costruzioni). Le previsioni per il 2014 fanno pensare ad un ridimensionamento del clima di pessimismo e sfiducia: il 47,5% delle imprese prevede di mantenere stabile il proprio fatturato; il 48% pensa invece che il fatturato diminuirà. Aumenta la percentuale delle imprese che prevedono una crescita del fatturato (dall’1,5% al 4,5%).
 Attraverso l’indagine è possibile analizzare il fenomeno dell’autoimprenditorialità. Le principali motivazioni che spingono gli imprenditori ad avviare un’attività in proprio risultano: l’autoimpiego (76,5%) e la tradizione familiare (43%). Diminuisce rispetto al 2012 il peso del possesso di capacità ed esperienze (10,5%; era al 22,5%).Continuano ad avere poca importanza il desiderio di affermazione (3%), l’aspirazione ad essere imprenditore (2,5%) e il miglioramento del reddito (2%). Tra le maggiori difficoltà incontrate si confermano la complessità degli adempimenti burocratici (secondo il 64% degli intervistati) e il reperimento di capitale (48%). In ogni caso il capitale impiegato per avviare l’attività imprenditoriale continua ad essere prevalentemente costituito da capitale proprio (83%), dal credito bancario (30,5%)e dal capitale di parenti (19,5%).

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