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martedì 29 luglio 2014

LE STRADE DI SPECCHIA E DEL SALENTO PORTANO ALLA MAGIA..........

Paolo Pisanelli e Vinicio Capossela alla Festa del Cinema Reale di Specchia(Le)

Un'intervista a Paolo Pisanelli, direttore della Festa del Cinema del Reale, alla sua undicesima edizione. Omaggi a Kowalski, Jutra e McLaren e una dimensione di piacere e condivisione per il pubblico
Erano Sogni/Musiche/Città lo scorso anno, Crisi/Amori/Follie quello prima. E si potrebbe con­ti­nuare in que­sto viag­gio a ritroso nelle parole che la Festa del Cinema del Reale di Spec­chia, nel sud del Salento, tra­sforma in visioni, viaggi, decen­tra­menti, suoni, luo­ghi, per­sone. Festa che quest’anno, per l’XI/ma edi­zione ini­ziata lo scorso mer­co­ledì e che si con­clu­derà sta­sera, anzi all’alba di domani sulla ter­razza di Castello Risolo come ormai da tra­di­zione, ha scelto le parole chiave Strade/Finzioni/Magie per attra­ver­sare il cinema docu­men­ta­rio. E scon­fi­nare, andare oltre, anche nelle forme, con omaggi al cinema di Claude Jutra e a quello di un geniale inven­tore come Nor­man McLa­ren, o con Lech Kowal­ski, l’ospite spe­ciale della Festa, pre­sente con
suoiCamera Gun, Brea­k­dance Test, Drill Baby Drill On Hitler’s High­way. Spec­chia e gli incon­tri con i tanti autori, come Vini­cio Capos­sela, Ceci­lia Man­gini, Elisa Amo­ruso, Valen­tina Zucco Pedi­cini, Gio­vanni Prin­ci­galli, Daniele Gaglia­none, Gior­gia Cecere, Costanza Qua­tri­glio, Edoardo Win­speare, Gio­vanni Cioni, Giu­liano Ricci, Gio­vanni Don­fran­ce­sco ed altri. Instal­la­zioni, work­shop, per­for­mance, le mostre foto­gra­fi­che di Daniele Coric­ciati e Pino Gui­do­lotti, i Pros­si­ma­mente, ossia «film non ancora o mai rea­liz­zati» di Filippo Cari­glia e Pier­paolo Filo­meno, le Case di Luce di Anto­nio Pap­padà, la musica di Anto­nio Castri­gnanò, le tele di Sotto i cieli d’Europa di Mas­simo Dalla Pola, le crea­zioni e i lin­guaggi di Simone Franco, Fabri­zio Bel­lomo, Enrico Car­pi­nello, Fran­ce­sca Mar­coni, Gio­vanna Chessa, Ros­sella Pic­cinno e Luca Coclite. Ancora, altre sug­ge­stioni, aper­ture.
Idea­tore e diret­tore della Festa è il fil­ma­ker Paolo Pisa­nelli (fra i suoi lavori,
  Roma A.D. 999, Roma A.D 000, Don Vita­liano, Ju Tar­ra­mutu, Buon­giorno Taranto).
Che Festa è quella del Cinema del Reale?
La nostra è una festa di incon­tri, di scambi crea­tivi, non è una com­pe­ti­zione, tutti i nostri autori rice­vono un pre­mio. È una festa per­ché, anzi­ché dalla pla­tea in piazza, molte per­sone guar­dano i film dalla ter­razza del Castello Risolo, al vento. Per noi è impor­tante inse­rire il pub­blico in una dimen­sione di pia­cere e con­di­vi­sione. Non è il Salento che defi­ni­sco «iper­teso». Sono una festa le nostre Poetiche/Pratiche, in mat­ti­nata, incon­tri molto infor­mali, lezioni/colazioni con i regi­sti che hanno a dispo­si­zione 12 minuti per rac­con­tarsi. C’è sem­pre qual­cosa di bello che suc­cede, come quest’anno l’amicizia imme­diata tra Vini­cio Capos­sela e Lech Kowal­ski che poi se ne vanno al mare insieme.
Hai scelto Strade / Fin­zioni / Magie come parole chiave di que­sta edi­zione. Come le hai decli­nate nel pro­gramma?
In realtà que­ste parole un po’ le sogno e, insieme, sono il frutto delle asso­cia­zioni che si for­mano in maniera libera, irre­go­lare, tra i film che vedo. Ho visto, ad esem­pio,
 Tir di Alberto Fasulo e Sacro GRA di Fran­ce­sco Rosi, due opere che hanno un’impalcatura di fin­zione con­si­stente e che, a dispetto del titolo, non sono film on the road, non nel senso tra­di­zio­nale. A pro­po­sito del Grande rac­cordo anu­lare, quest’anno abbiamo por­tato alla Festa G.R.A., un corto piut­to­sto dif­fi­cile da tro­vare, rea­liz­zato nel 1965 da una grande amica, Ceci­lia Man­gini, su com­mis­sione dell’Anas. Anche Kowal­ski va nelle strade e filma. I suoi film sono visioni, che l’Italia, un paese anal­fa­beta per quel che con­cerne il cinema e l’audiovisivo, rifiuta. Quello che ten­tiamo di fare con la Festa del Cinema del Reale, allora, è divul­gare certe pra­ti­che del cinema, più sot­ter­ra­nee, anche alle fami­glie di Spec­chia, ai turi­sti. Ad esem­pio, quest’anno, abbiamo scelto un lavoro come Stri­pLife – Gaza in a day, rea­liz­zato da un gruppo di video­ma­ker ita­liani. Forse anche loro hanno com­piuto una magia, hanno fil­mato Gaza qual­che tempo prima che scom­pa­risse, cosa che sta acca­dendo in que­sti giorni. E ci sono anche altre guerre, diverse. E forme di resi­stenza, come quelle qui nel sud Salento con­tro l’ampliamento della Sta­tale 275, con­tro il con­sumo del ter­ri­to­rio e le disca­ri­che tos­si­che, come rac­con­tano alcuni lavori pre­sen­tati. È impor­tante fare cinema e curarci dei luo­ghi in cui viviamo. La video­ca­mera è un modo di vivere.
Nel cata­logo di quest’anno scrivi che il cinema del reale è fatto per metà di reale e per metà di fin­zioni…
Fil­mare è sem­pre inter­pre­ta­zione, un punto di vista, come lo è la posi­zione della mac­china da presa. Ci sono tanti fat­tori che inci­dono, anche quelli appa­ren­te­mente più insi­gni­fi­canti, come l’ora in cui arrivi, cosa ha man­giato il sog­getto che filmi, per­ché se ha man­giato troppo magari resta seduto, cose così, a casua­lità del reale. Nel cinema di fic­tion, la fin­zione è più facile, più «sicura», codi­fi­cata. Il cinema del reale è più vicino all’improvvisazione jazz.
E quello di McLa­ren, di Jutra, che cinema è?
I film di McLa­ren, straor­di­nari, per me sono cinema del reale. Fino a poco tempo fa non cono­scevo i suoi lavori, che ho sco­perto in Canada, a Mon­tréal, dove mi tro­vavo per una retro­spet­tiva su Ceci­lia Man­gini. Era un cinea­sta che riu­sciva a met­tere sim­bo­li­ca­mente in scena la realtà, come in
 Ope­ning Speech, in cui è anche attore, in una bat­ta­glia col micro­fono che sem­bra avere una sua volontà pro­pria, davanti al pub­blico di un festi­val. Sem­bro un po’ io qui a Spec­chia. McLa­ren apre dei mondi, di forme, di visioni, gioca con le imma­gini. Straor­di­na­rio, come lo era Claude Jutra. A me non piac­ciono i film «della verità», mi piace la realtà che sa essere quella di The Devil’s Toy di Jutra, che ha anche col­la­bo­rato con McLa­ren.
In undici anni com’è cam­biato il cinema del reale in Ita­lia?
Il cinema del reale, dal punto lin­gui­stico e for­male, è ora in ottima salute. È cre­sciuto negli anni, pur nelle per­du­ranti dif­fi­coltà di chi lo fa, tirando a cam­pare. Ma mi sento di essere otti­mi­sta e trovo che l’energia che nutre il cinema del reale sia pre­ziosa. Sono fiero di poter dire che con la Festa del Cinema del Reale siamo stato sin da subito cata­liz­za­tori di incon­tri. Il pro­blema è che ci sono ancora cri­tici che scri­vono di un certo cinema senza saperne niente, senza cono­scere Gian­franco Min­gozzi. Allora, quando ti imbatti in cri­tici bravi, seri, quasi te li spo­se­re­sti. Scherzo, ma la verità è che i festi­val fati­cano a creare rete tra chi il cinema lo fa e gli addetti ai lavori del nostro ambiente.. Ecco per­ché credo che sia impor­tante favo­rire gli incon­tri e che a poco ser­vano le bar­ri­cate. E, soprat­tutto, biso­gna far vedere i film nelle scuole. I miei figli, che man­giano imma­gini, usano tablet, cel­lu­lari, non sanno come si costrui­scono le imma­gini. Occorre far scat­tare in loro la molla della nar­ra­zione, farla diven­tare una neces­sità. Que­sto per me è poli­tico, fare cinema con un senso poli­tico delle cose.
E come si incon­trano il tuo essere fil­ma­ker e diret­tore arti­stico di que­sta ras­se­gna?
Biso­gna essere un po’ schi­zo­fre­nici, è impor­tante poter apprez­zare la bel­lezza del lavoro degli altri, non guar­dare solo il pro­prio ombe­lico. Voglio bene a tutti i film che abbiamo invi­tato, non li ho amati tutti, ma sapevo che dove­vano esserci.
Un corpo a corpo tra chi filma e chi è fil­mato…», hai scritto. Chi sono i cinea­sti più pre­ziosi sotto que­sto aspetto? Chi quelli che vor­re­sti avere a Spec­chia?
Non posso non pen­sare a Wise­man o a Her­zog che di strade ne ha man­giate tante, strade diverse. C’è, poi, Errol Mor­ris, il suo è uno straor­di­na­rio corpo a corpo con coloro che filma e inter­vi­sta. Li «mas­sa­cra» e, allo stesso tempo, rie­sce a rispet­tarli. Io, però, ho sem­pre con me la donna rock del doc, Ceci­lia Man­gini. Lei ti porta den­tro la poe­tica e la pra­tica di que­sto nostro lavoro, per­sona di una straor­di­na­ria gene­ro­sità, che inse­gue la cono­scenza e la condivide.

fonte: ilmanifesto.info

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